Mi sto trasformando, sento che la chimica, la base del mio corpo che sta cambiando, quest'acqua mi chiama, mi invade le vene e mi libera dai tormenti del mondo, della società del dovere, dall'immagine che gli altri vogliono di me, per me, dalla falsità e dalla menzogna, dalla meschinità, dalla presunzione di sapere, dall'imposizione con cui plasmano la menti sottili, ma se non devo per me, per chi altri?
Mi sono ritrovata a pensare a quanto spesso ci sentiamo stretti in un ruolo fittizio, a quanto la società ci imponga un modello che mortifica la nostra personalità e ci fa credere che abbiamo bisogno sempre di qualcosa in più che non abbiamo per andare avanti, ma se rifletto su ciò che è possibile, tutto lo diventa, con la volontà e la perseveranza; il postino Cheval ne è una prova tangibile di quanto non abbiamo bisogno che di noi stessi per trovare la giusta strada alla realizzazione personale, perchè la felicità è uno stato personale, ognuno può arrivare alla propria.
Joseph Ferdinand Cheval nato il il 19 aprile 1836 a Charmes-sur-l’Herbasse, lasciò la scuola all'età di tredici anni, divenne un uomo ordinario, assunto alle poste francesi e destinato a Hauterives, a circa dodici chilometri dal proprio paese natale.
A volte mi rendo conto, già da queste piccole cose, come in tutto ci sia la possibilità di evolversi, di liberarsi da catene invisibili, anche se la strada non riusciamo a vederla, anche se vediamo soltanto la realtà tangibile, ma come diceva Antoine de Saint-Exupéry “l'essenziale è invisibile agli occhi”. In quel momento forse al postino Cheval venne regalata, in maniera velata, la possibilità di essere altro, oltre che un postino, qualcosa che superava l'apparenza di quel lavoro. Fino all'età di quarantotto anni non aveva compiuto nulla di straordinario, ma non è il tempo che scorre a segnare il momento giusto, è la libertà che ci siamo conquistati, l'indipendenza mentale da ciò che ci circonda e ci fa vedere oltre, a quell'invisibile che sappiamo in fondo esiste.
Un giorno del 1879, durante il suo itinerario di servizio inciampò in un sasso, lo raccolse e lo portò con sè. Era un normalissimo sasso di tufo, di un colore tra il bianco e il grigio, che in seguito Cheval definì “la pietra dell'evasione” perchè in quel semplice sasso aveva avuto la visione di un sogno, del proprio e qualcosa è successo in quell'incontro straordinario, qualcosa che ha fatto scattare un meccanismo che ha spinto Cheval alla realizzazione dei propri desideri. Dopo quel giorno, durante i suoi giri, cominciò a raccogliere altre pietre, tegole, gusci d'ostrica, frammenti di vetro, fil di ferro, metallo e tutto quanto poteva, nella sua prospettiva, contribuire alla realizzazione di qualcosa che desiderava fortemente. Si lasciò trasportare dalla propria fantasia, ha voluto credere che potesse esistere un palazzo, dall'impronta fiabesca e meravigliosa, un palazzo tutto suo, costruito con le sue mani, egli stesso affermò di essere stanco di passeggiare sempre nello stesso posto. Dalle sue parole: “... per distrarmi, costruivo nei miei sogni un palazzo fatato, al di là di ogni immaginazione, tutto ciò che un uomo umile potesse immaginare, con grotte, giardini, torri, castelli musei e sculture, cercando di far rinascere le architetture antiche dei tempi primitivi; era tutto così bello e pittoresco che l'immagine rimase viva nella mia mente per anni... ma la distanza tra il sogno e la realtà è grande; non avevo mai preso in mano una cazzuola da muratore.. e ignoravo completamente le regole di architettura”.
Quanta tenacia ha avuto quest'uomo per non arrendersi? Mi chiedo.
Quanto doveva credere in quello che stava facendo per non lasciare tutto in sospeso?
Quanto era indipendente dalla società?
Mi sono ritrovata a pensare a quanto spesso ci sentiamo stretti in un ruolo fittizio, a quanto la società ci imponga un modello che mortifica la nostra personalità e ci fa credere che abbiamo bisogno sempre di qualcosa in più che non abbiamo per andare avanti, ma se rifletto su ciò che è possibile, tutto lo diventa, con la volontà e la perseveranza; il postino Cheval ne è una prova tangibile di quanto non abbiamo bisogno che di noi stessi per trovare la giusta strada alla realizzazione personale, perchè la felicità è uno stato personale, ognuno può arrivare alla propria.
Joseph Ferdinand Cheval nato il il 19 aprile 1836 a Charmes-sur-l’Herbasse, lasciò la scuola all'età di tredici anni, divenne un uomo ordinario, assunto alle poste francesi e destinato a Hauterives, a circa dodici chilometri dal proprio paese natale.
A volte mi rendo conto, già da queste piccole cose, come in tutto ci sia la possibilità di evolversi, di liberarsi da catene invisibili, anche se la strada non riusciamo a vederla, anche se vediamo soltanto la realtà tangibile, ma come diceva Antoine de Saint-Exupéry “l'essenziale è invisibile agli occhi”. In quel momento forse al postino Cheval venne regalata, in maniera velata, la possibilità di essere altro, oltre che un postino, qualcosa che superava l'apparenza di quel lavoro. Fino all'età di quarantotto anni non aveva compiuto nulla di straordinario, ma non è il tempo che scorre a segnare il momento giusto, è la libertà che ci siamo conquistati, l'indipendenza mentale da ciò che ci circonda e ci fa vedere oltre, a quell'invisibile che sappiamo in fondo esiste.
Un giorno del 1879, durante il suo itinerario di servizio inciampò in un sasso, lo raccolse e lo portò con sè. Era un normalissimo sasso di tufo, di un colore tra il bianco e il grigio, che in seguito Cheval definì “la pietra dell'evasione” perchè in quel semplice sasso aveva avuto la visione di un sogno, del proprio e qualcosa è successo in quell'incontro straordinario, qualcosa che ha fatto scattare un meccanismo che ha spinto Cheval alla realizzazione dei propri desideri. Dopo quel giorno, durante i suoi giri, cominciò a raccogliere altre pietre, tegole, gusci d'ostrica, frammenti di vetro, fil di ferro, metallo e tutto quanto poteva, nella sua prospettiva, contribuire alla realizzazione di qualcosa che desiderava fortemente. Si lasciò trasportare dalla propria fantasia, ha voluto credere che potesse esistere un palazzo, dall'impronta fiabesca e meravigliosa, un palazzo tutto suo, costruito con le sue mani, egli stesso affermò di essere stanco di passeggiare sempre nello stesso posto. Dalle sue parole: “... per distrarmi, costruivo nei miei sogni un palazzo fatato, al di là di ogni immaginazione, tutto ciò che un uomo umile potesse immaginare, con grotte, giardini, torri, castelli musei e sculture, cercando di far rinascere le architetture antiche dei tempi primitivi; era tutto così bello e pittoresco che l'immagine rimase viva nella mia mente per anni... ma la distanza tra il sogno e la realtà è grande; non avevo mai preso in mano una cazzuola da muratore.. e ignoravo completamente le regole di architettura”.
Quanta tenacia ha avuto quest'uomo per non arrendersi? Mi chiedo.
Quanto doveva credere in quello che stava facendo per non lasciare tutto in sospeso?
Quanto era indipendente dalla società?
Cominciò ad andare in giro con una carriola, raccogliendo pietre la notte, quelle più bizzarre che incrociavano il suo cammino, che arricchivano la sua ricerca. Sentì addosso la derisione della gente, fu emarginato e considerato pazzo, ma in fondo, cosa sono le parole della gente? Se non occhiate superficiali, pregiudizi che trovano voce e ignoranza davanti a ciò che non si comprende?
Seguendo i suoi percorsi mentali ha costruito percorsi oscuri fatti di grotte e passaggi che egli chiamava “Ecatombi” in un movimento vivace e armonico, impregnato di quella particolare freschezza che può possedere solo un sogno, un desiderio custodito con cura e alimentato ardentemente dalla passione. Un'iscrizione campeggia li dove le volontà fantasiose del Postino hanno lasciato spazio: INTERNO DI UN PALAZZO IMMAGINARIO: IL PANTHEON DI UN EROE SCONOSCIUTO. LA FINE DI UN SOGNO, LA CUI FANTASIA DIVENTA REALTA'. L'OPERA DI GIGANTI, RICORDATI: VOLERE E' POTERE. Già, volere è potere... bisognerebbe soffermarsi maggiormente su queste parole e chiedersi cosa vogliamo veramente, e chiedersi cosa si può fare per cambiare ciò che non ci sta bene senza lasciarci soffocare dalle circostanze, a volte. Siamo forse nati per stare in gabbia o per vivere liberi?
Quale insegnamento più grande? Quale libertà più importante ci ha regalato il nostro postino se non quella mentale, quella del cuore. Tra le nostre mani possiamo stringere i nostri sogni e costruirli sasso dopo sasso, a volte inciampare vuol dire evolversi, creare, basta solo trovare la giusta dimensione, l'accordo giusto dell'anima.
Un'altra iscrizione recita: PER QUARANTA ANNI HO SCAVATO PER FAR SORGERE DALLA TERRA QUESTO PALAZZO INCANTATO PER AMORE DELLA MIA DEA, IL MIO CORPO HA AFFRONTATO IL TEMPO, IL RIDICOLO, GLI ANNI. LA VITA E' UN VELOCE DESTRIERO, MA IL MIO PENSIERO IN QUESTA ROCCIA VIVRA'
Seguendo i suoi percorsi mentali ha costruito percorsi oscuri fatti di grotte e passaggi che egli chiamava “Ecatombi” in un movimento vivace e armonico, impregnato di quella particolare freschezza che può possedere solo un sogno, un desiderio custodito con cura e alimentato ardentemente dalla passione. Un'iscrizione campeggia li dove le volontà fantasiose del Postino hanno lasciato spazio: INTERNO DI UN PALAZZO IMMAGINARIO: IL PANTHEON DI UN EROE SCONOSCIUTO. LA FINE DI UN SOGNO, LA CUI FANTASIA DIVENTA REALTA'. L'OPERA DI GIGANTI, RICORDATI: VOLERE E' POTERE. Già, volere è potere... bisognerebbe soffermarsi maggiormente su queste parole e chiedersi cosa vogliamo veramente, e chiedersi cosa si può fare per cambiare ciò che non ci sta bene senza lasciarci soffocare dalle circostanze, a volte. Siamo forse nati per stare in gabbia o per vivere liberi?
Quale insegnamento più grande? Quale libertà più importante ci ha regalato il nostro postino se non quella mentale, quella del cuore. Tra le nostre mani possiamo stringere i nostri sogni e costruirli sasso dopo sasso, a volte inciampare vuol dire evolversi, creare, basta solo trovare la giusta dimensione, l'accordo giusto dell'anima.
Un'altra iscrizione recita: PER QUARANTA ANNI HO SCAVATO PER FAR SORGERE DALLA TERRA QUESTO PALAZZO INCANTATO PER AMORE DELLA MIA DEA, IL MIO CORPO HA AFFRONTATO IL TEMPO, IL RIDICOLO, GLI ANNI. LA VITA E' UN VELOCE DESTRIERO, MA IL MIO PENSIERO IN QUESTA ROCCIA VIVRA'
Passarono 33 anni perchè il palazzo fosse compiuto, 33 anni di vita veramente vissuta per dare vita ad un sogno e quando ebbe finito cominciò ad edificare la propria tomba, nel vicino cimitero, che riuscì a finire prima che la morte lo raggiungesse ad ottantotto anni, La Tomba del silenzio e del riposo senza fine. Perchè probabilmente come aveva avuto bisogno di un luogo suo in vita, ne aveva bisogno anche uno nella morte che sopraggiunse nel 1924.
Senza saperlo divenne ispirazione per Breton e per i surrealisti che trovarono in quel palazzo l'architettura perfetta dell'inconscio, l'esaltazione sublime della fantasia che trova sfoggio in semplici gusci di conchiglie e sassi ordinati secondo una logica immaginaria e fantastica.
Senza saperlo divenne ispirazione per Breton e per i surrealisti che trovarono in quel palazzo l'architettura perfetta dell'inconscio, l'esaltazione sublime della fantasia che trova sfoggio in semplici gusci di conchiglie e sassi ordinati secondo una logica immaginaria e fantastica.
Max Ernst gli dedicò un collage di carta e stoffa con matita, inchiostro e guazzo su carta e lo stesso Breton parlò di lui in una poesia.
Penso che Cheval abbia raggiunto la porta del drago, risalendo le rapidi a modo suo e che edificando il proprio mondo abbia conquistato l'immortalità.
Ela Bì -Koi-
Approfondimenti
Penso che Cheval abbia raggiunto la porta del drago, risalendo le rapidi a modo suo e che edificando il proprio mondo abbia conquistato l'immortalità.
Ela Bì -Koi-
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